lunedì 21 settembre 2009

Il tempo è il solo nemico.

Impossibile non rimanere colpiti da questo romanzo, che rappresenta con tutta probabilità l’apice qualitativo della produzione letteraria di Michael Bishop, autore statunitense, classe 1945. Il Tempo è il solo nemico fu pubblicato nel 1982 e nello stesso anno ottenne il Premio Nebula per il miglior romanzo.
Sin dai primi mesi di vita, John Monegal sogna, cadendo in uno stato simile alla trance. I suoi sogni sono vividi, realistici, pieni di dettagli che rimandano a una realtà che egli non ha mai conosciuto, e che si colloca milioni di anni addietro nella storia dell’umanità. Da dove provengono queste immagini? Immediatamente il pensiero va a Il vagabondo delle Stelle, capolavoro di Jack London, e dunque al dubbio che i ricordi di John possano provenire da vite già vissute. Ma la fantasia dell’autore va persino oltre: a differenza del protagonista del romanzo di London, che immobilizzato nella prigione di San Quintino viaggiava a ritroso con la mente grazie a una sciamanica capacità di retro-metempsicosi, John sogna una vita che è già trascorsa, ma che ancora non ha vissuto. Per farlo, dovrà imbattersi in un paleo-antropologo che lavora a un visionario progetto di viaggio nel tempo attraverso una macchina in grado di sintonizzarsi sulla mente del protagonista fino a portarlo indietro nel pleistocene, permettendogli di vivere ciò che determinava i suoi sogni, nella forma di una impronta indelebile del passato rimasta intrappolata nel rumore di fondo del flusso temporale. A questo punto, John cambia vita e nome; da questo momento si chiamerà Joshua Kemp.
Il paradosso tipico del viaggio nel tempo raggiunge in Bishop il parossismo, non foss’altro che per il gigantesco ordine di grandezza del balzo dal presente alla preistoria. Una volta accettato questo mirabolante patto narrativo, l’autore ci proietta in un mondo autentico, credibile, pieno di un’umanità primordiale, usando una prosa lieve, seducente e ricercata, che ha trovato degna rappresentazione nella brillante traduzione italiana di Roberta Rambelli. Non si può non rimanere toccati dalla descrizione del rapporto del protagonista con gli ominidi “abilini”, che dapprima diffidenti, lo accolgono infine nel loro gruppo. Ed è certamente questo il più alto registro narrativo di questa storia. Rompendo schemi tradizionali e fin troppo abusati, Michael Bishop descrive l’uomo preistorico non come semplice stadio evolutivo ulteriore rispetto allo scimpanzé, conseguenza casuale di mutazioni di ordine quantitativo che hanno determinato il passaggio dalla scimmia all’uomo, ma piuttosto come frutto di una netta discontinuità qualitativa nella linea dell’evoluzione, testimoniata dalla comparsa di emozioni complesse, non necessariamente o non esclusivamente legate all’utile e alla sopravvivenza.
Joshua Kemp, rapito dal mondo in cui è stato gettato, prolunga la missione oltre la misura concordata e decide infine di rimanervi. Ma non vi sveleremo cosa in realtà accade nel finale a sorpresa. La narrazione procede dolce, al ritmo dei grandi e lenti scenari della savana africana vissuti attraverso gli occhi di Joshua Kemp, e alternati ai flashback degli episodi della difficile vita del giovane John Monegal dapprima in Spagna, suo paese nativo, e poi negli USA e infine in Africa.
A tratti la prosa descrittiva della vita della tribù abilina ricorda la cura e la precisione di Ursula Kroeber Le Guin, nel tentativo continuo di comprendere le motivazioni delle dinamiche che muovono i personaggi appartenenti ad un gruppo diverso da quello dell’uomo in senso stretto. Un esoticismo di genere fantastico, rivolto però verso gli ominidi anziché verso gli alieni. Della sua predilezione per i temi cari all’antropologia l’autore aveva già dato prova nel tratteggio dei misteriosi meccanismi sociali di varie razze aliene in “Occhi di fuoco”, e nell’accanita investigazione condotta dai protagonisti de “Il segreto degli Asadi” sulla feroce ritualità antropofaga di una specie aliena ominide vittima di un inarrestabile processo involutivo. Ma entrambi questi romanzi non sfiorano la vetta raggiunta da “Il tempo è il solo nemico”.
Il sito di Michael Bishop è qui.
Chiudiamo con una nota triste ma obbligata.
Jamie Bishop, figlio di Michael, fu vittima del massacro del Virginia Polytechinc Institute il 16 aprile 2007, uno dei tanti massacri scolastici accaduti in USA. Di seguito riporto quindi il link al filmato in cui Michael descrive la sua opera di diffusione postuma dell'attività di suo figlio, che oltre al resto era un illustratore ed aveva prodotto alcune copertine dei libri paterni: http://www.usatoday.com/news/nation/2008-04-10-virginia-tech-video_N.htm.